Era un giorno che pioveva e io mi trovavo a dover fare a piedi la strada dalla stazione all’albergo.
Ero a Rimini, alla mia prima Convention.
Arrivai con le scarpe tutte fradice. “Dovrò asciugarle con il phon – pensai – non ne ho altre”. Avevo tanta apprensione nel cuore, ma appena entrai nel salone mi sentii subito accolta da un allegro chiacchiericcio: la gente si salutava, ma ancor più si abbracciava.
Era la prima volta che mi trovavo lì e mi sentivo un po’ come un pesce fuor d’acqua. L’atmosfera, però, era accogliente e serena. “Speriamo che mi serva” pensai dubbiosa.
Ero arrivata con i miei chili di troppo e col fiato tirato, perché il panico era subdolo e mi prendeva così, ma dalla prima riunione mi sentii a casa. Era bello stare con tante persone gentili che avevano il mio stesso problema, non mi giudicavano e parlavano con leggerezza.
Nel corso della Convention vennero fuori tutti gli affanni, le difficoltà, le speranze dei loro cuori e furono affrontati tutti i temi principali relativi alla mia malattia del mangiare compulsivo, i nodi più nascosti, quelle cose che non avevo mai confessato a me stessa.
Sentii un senso di calore, di partecipazione, e alcune esperienze di vita mi aprirono gli occhi alla speranza di un’esistenza più vera e più sana.
L’ultimo giorno, quando ci siamo alzati al richiamo della “conta”, cioè della dichiarazione dei giorni di astinenza, molti piangevano e io ero una di loro.